Migoli 10 Luglio 2007 - Hakuna Matata

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di Padre Vincenzo Algeri
Migoli 10 Luglio 2007

Carissimi fratelli e sorelle in Cristo, sono passati circa 8 mesi dalla mia partenza per Migoli e mi sembra doveroso scrivere a voi tutti, che seguite con tanta attenzione e affetto la Comunità Parrocchiale di Migoli. Avrei desiderato scrivere a ognuno di voi personalmente, ma il tempo per scrivere si va riducendo man mano che entro nell’attività pastorale, che in questi mesi pesa sopratutto sulle spalle di P. Salvo Bucolo. Io e P.Salvo siamo qui a continuare l’opera che prima di noi altri sacerdoti e laici hanno iniziato e portato avanti. Mi sembra giusto ricordarli: 1) Padre Crema e altri Padri della Consolata, che sono stati i primi ad annunziare il Vangelo a questa popolazione, 2) i sacerdoti della Diocesi di Agrigento (P. Saverio Catanzaro, P. Ignazio Giunta, P. Angelo Burgio), che hanno continuato l’opera dei Padri della Consolata, facendosi carico dell’avvio della Parrocchia di Ismani, di cui prima faceva parte Migoli e i villaggi vicini, 3) le Suore Collegine, che sono state le prime, come Congregazione religiosa, a stabilirsi a Migoli e hanno aiutato i sacerdoti agrigentini nell’opera di evangelizzazione, 4) P. Ricceri, che è stato primo Parroco di Migoli ed ha avviato la comunità parrocchiale, 5) altri sacerdoti della nostra Arcidiocesi, che, per periodi più o meno lunghi, si sono alternati nell’aiutare P. Ricceri: P. Nicola Petralia, P. Vincenzo Bonanno, P. Nicola Gullotta, P. Salvatore Guerrera, 6) poi, tanti laici: gli operatori del CO.P.E., quando Migoli faceva parte della Parrocchia di Ismani, diversi laici (uomini e donne) delle nostre Parrocchie e, sopratutto, del Movimento Giovanile Missionario della nostra Arcidiocesi (non elenco i nomi per paura di dimenticarne qualcuno). Questi laici sono stati qui a servizio dei più poveri, sopratutto sofferenti e bambini, e la gente non li ha dimenticati. Noi, come i fratelli che ci hanno preceduto, siamo qui per rendere concreto e presente l’impegno per la missione ad Gentes, che è impegno e dovere di ogni battezzato, e che, perciò, è impegno e dovere di ogni battezzato della Chiesa di Catania. Però, il nostro stare qui esige che ognuno di voi, che ci aiuta con la preghiera, con le offerte, o con la propria disponibilità a venire qui a condividere il lavoro apostolico, viva il proprio impegno missionario anzitutto nell’ambiente in cui abitualmente vive e lavora: gli altri devono poter vedere che l’incontro col Signore Gesù ha cambiato la vostra vita. Non a caso, i Vescovi italiani chiedono ai cattolici di impegnarsi a dare un volto missionario alle comunità parrocchiali! Vorrei rendervi partecipe della vita della nostra comunità parrocchiale, delle cose più importanti avvenute in questi mesi, dei problemi che cerchiamo di affrontare. Ma mi limito a riferirvi solo alcune cose, per darvi un’idea di quello che avviene a Migoli. Nella comunità Parrocchiale di Migoli si svolgono le attività che si svolgono in ogni comunità parrocchiale. Ma, ovviamente, i normali problemi pastorali qui diventano particolarmente problematici. La comunità parrocchiale è distribuita in 13 villaggi. Questa situazione origina tutta una serie di problemi per la catechesi e per l’amministrazione dei sacramenti. Ora che siamo in due, a Migoli la messa viene celebrata ogni domenica e ogni giorno feriale, mentre nei villaggi, per ora, si riesce a celebrare la messa una volta al mese, in giorni feriali in alcuni, la domenica in altri. Il mese di giugno è stato particolarmente impegnativo. Abbiamo avuto la presenza dei ragazzi nei locali parrocchiali, per tre settimane, e abbiamo organizzato e realizzato, con l’aiuto delle Suore Collegine, un breve corso di aggiornamento per le insegnanti dei 13 asili parrocchiali (uno per ogni villaggio, quello di Migoli ha 9 classi). Ci siamo resi conto dell’urgenza di elevare la qualità educativa dei nostri asili, dove ci sono quei bambini che molti di voi aiutano col sostegno a distanza. Ma c’è anche tutt’un altro aspetto della pastorale. Tanti problemi sociali, di cui in Europa si occupa lo Stato, qui pesano in gran parte sulle varie comunità religiose, perciò anche sulla Chiesa Cattolica, e sulle singole comunità parrocchiali. Per darvi un’idea della situazione in cui ci troviamo ad operare, vi racconto un fatto (a lieto fine, grazie a Dio!) di cui siamo stati testimoni diretti, mentre, in barca, tornavamo dal villaggio di Maperamengi. Il 2 luglio ci siamo recati nel villaggio di Maperamengi, sulla riva del lago opposta a quella di Migoli. Abbiamo fatto il viaggio in barca, perché è l’unico mezzo di collegamento con quel villaggio. Questo viaggio non era in programma, perché nella stessa data avremmo dovuto partecipare ad un Ritiro spirituale, che qualche giorno prima era stato spostato ad altra data. Lo scopo del viaggio era quello di vedere a che punto si trovavano i lavori di pittura della chiesetta del villaggio, e i lavori di ripristino di una parte dei locali della Scuola Primaria. Si trovavano con noi, oltre agli operai che guidavano la barca, anche Zaccaria, il seminarista assegnato alla nostra Parrocchia dal Seminario di Peramiho, e due signore siciliane, Carmela e Anna, di Marineo, ospiti in quei giorni delle Suore Collegine. Dopo aver visto l’andamento dei lavori, ci siamo rimessi in barca e alcune persone ci hanno chiesto di far salire in barca una donna Masai incinta, che aveva necessità di andare all’Ospedale del CO.P.E (gestito dalle Suore Collegine), perchè si sentiva male. Era accompagnata da due donne della sua famiglia. La nostra era l’ultima barca in partenza, per quel giorno. Dopo qualche minuto dalla partenza, notiamo che la donna sta particolarmente male, ma non c’è un posto comodo per sedersi. Come posti a sedere, la barca ha solo delle assi di legno. Perciò la donna si accovaccia in fondo alla barca (dove c’è anche dell’acqua) e cerca una posizione comoda il più possibile in quel luogo. Nel bel mezzo del viaggio, che dura circa un’ora e mezza, la donna comincia ad avere le doglie. C’è un momento di panico, sopratutto per noi italiani. Ma le donne presenti si son date da fare. Provvidenzialmente, hanno avuto l’aiuto telefonico di Luciana (una dottoressa amica delle due signore di Marineo, e anche lei ospite in quei giorni delle Suore), che si trovava proprio nell’Ospedale del CO.P.E. per dare lì una mano d’aiuto, e seguendo le sue istruzioni hanno aiutato la donna a partorire. Per tagliare il cordone ombelicale si sono servite dell’unico coltello che si trovava a bordo e, per un minimo di disinfezione, le donne hanno provveduto con i fazzolettini che casualmente si trovavano in borsa. È nata una bella bambina, che P. Salvo ha proposto di chiamare Neema (in swahili, Grazia), e, a quel che ci risulta, la mamma le ha imposto effettivamente questo nome. Finalmente vediamo la riva vicina. Notiamo che sulla riva è già pronta la macchina dell’Ospedale (che non è provvisto di ambulanza) e Luciana è lì, pronta a intervenire. Appena ci avviciniamo alla riva, lei ci raggiunge, sale sulla barca per sistemare la mamma nel modo migliore possibile per farla risalire dal fondo della barca e metterla sul carretto tirato dagli asini, che serve per il trasbordo dei passeggeri, quindi sulla macchina e subito in Ospedale. Voi capite che il contesto in cui è nata la bambina non era quello igienicamente più adatto, ma qui, purtroppo, è normale. Questo fatto ci ha fatto toccare con mano l’emergenza sanitaria in cui vive normalmente questa popolazione. Quello che ho chiamato “Ospedale” in effetti è un centro sanitario, dove opera personale paramedico, che non è autorizzato a fare interventi chirurgici e non ne ha l’attrezzatura. Luciana si trovava lì casualmente; ogni anno viene in Tanzania ad aiutare le Suore Collegine che gestiscono un dispensario in altra località. Il più vicino Ospedale, per come lo intendiamo noi, si trova a Iringa, a circa 100 Km. Spesso si muore perché non si fa in tempo a raggiungere Iringa o non se ne hanno i mezzi; qui si può morire per delle banalità. Ma, nel nostro caso, è finita bene. Immaginate se ci fossero state delle complicanze durante il parto! L’intervento della Divina Provvidenza è stato tangibile! Qui la sanità è un’emergenza costante. Qui è normale quello che in Italia sarebbe emergenza grave. Per questo gli aiuti che voi fate arrivare qui sono vitali. Ma qui non ci sono solo i problemi sanitari, ce ne sono tanti altri e altrettanto gravi. Di alcuni di questi problemi vi parlerò in modo più puntuale in una prossima lettera. Noi, che ci troviamo qui come sacerdoti, di fronte alle necessità dei più poveri e deboli, per un verso dobbiamo dire come gli Apostoli: «Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense...» (Atti 6,2), per altro verso dobbiamo cercare di organizzarci, come hanno fatto gli Apostoli(Atti 6,3-4), coinvolgendo sempre di più i laici, sopratutto quelli del posto, perché ai poveri si provveda. Il nostro progetto è quello di provvedere alla pastorale della carità coinvolgendo sempre più i fedeli laici del posto. Per far passare questa idea, P. Salvo ha coniato anche uno slogan: La comunità aiuta la comunità. Però, sono ancora tante le cose che dobbiamo gestire noi in modo diretto e che tolgono spazio all’evangelizzazione, ma stiamo lavorando per alleggerirci il più possibile di incombenze economiche e dare più spazio all’evangelizzazione. Ho fatto cenno, sopra, all’importanza vitale dei vostri aiuti. Ma più necessaria sarebbe la vostra presenza. Occorrono laici che diano una mano d’aiuto a questa popolazione, non solo per interventi straordinari, di “pronto soccorso”, ma per aiutarla a saper sfruttare a proprio vantaggio le immense risorse del paese, e così poter raggiungere un livello di vita adeguato, sopratutto nel campo sanitario e nell’istruzione. Tanti laici italiani sono presenti in Tanzania, attraverso Organizzazioni di volontariato (ad es. il CO.P.E.), ma ne occorrerebbero altri, sopratutto in campo sanitario. Qui, a Migoli, noi abbiamo bisogno di laici, che ci aiutino nella gestione degli aiuti economici che offriamo alla popolazione locale, che ci aiutino nell’organizzazione della cooperativa agricola, nella gestione della casa dove ospitiamo dei bambini e alcuni ragazzi più grandi, e nella gestione degli asili, in modo che noi sacerdoti possiamo dedicarci di più al lavoro pastorale, che è tanto. Noi dovremmo dedicare più tempo al cammino di fede dei cristiani, alla loro formazione, perché possano portare il lievito del Vangelo in una situazione così problematica. La situazione della Chiesa locale esige da noi, sopratutto, questo. Vorrei dirvi tante altre cose, ma credo di aver scritto troppo, non voglio abusare della vostra pazienza.
Spero di potervi scrivere con una certa periodicità, per tenervi aggiornati sul nostro lavoro. Pregate per noi!
P. Vincenzo Algeri
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